27/7/2017
Diritto Europeo

L’Avvocato Generale deposita le proprie conclusioni nella causa C-42/17 e rifiuta la lettura “costituzionalmente orientata” della sentenza Taricco: si va verso l’applicazione dei “controlimiti”?

Se la Corte di Giustizia dell’Unione Europea dovesse accogliere pianamente quanto argomentato nelle conclusioni dell’Avvocato Yves Bot lo scorso 18 luglio con riferimento alla causa C-42/17, questo basterebbe ad evitare che la Corte Costituzionale italiana assurgesse agli onori della cronaca quale prima corte di uno Stato membro ad aver dichiarato l’illegittimità parziale delle leggi di esecuzione dei trattati costitutivi dell’Unione stessa? Probabilmente no. Questa, almeno, è l’opinione di chi scrive e che già autorevole dottrina aveva sostenuto all’indomani del deposito dell’ordinanza di rimessione della causa ai Giudici europei confezionata dalla Corte Costituzionale (ord. n. 24 del 26.1.2017) [F. Viganò, Le parole e i silenzi, in A. Bernardi, C. Cuppelli, Il caso Taricco e il dialogo tra le Corti. L’ordinanza 24/2017 delle Corte Costituzionale, Atti del convegno svoltosi nell’Università degli Studi di Ferrara il 24 febbraio 2017, Jovene, Napoli, 2017]. 

Un’opinione che si è trasformata in ferma convinzione proprio dopo aver letto le conclusioni su di un caso che possiamo ribattezzare “Taricco bis” (ufficialmente rubricato come causa C-42/17), essendo figlio di un nodo rimasto insoluto dopo la famosa sentenza della Grande Sezione lussemburghese dell’8.9.2015 – causa C-105/14.

In questo breve commento, ci si propone di analizzare le argomentazioni dall’Avvocato Generale, evidenziandone le “eccentricità”, a fronte di un’ordinanza di rimessione scritta dai Giudici delle leggi nazionali che – condivisibile o meno che sia – si distingue per chiarezza e logicità di esposizione e di ragionamento.

Sul banco degli imputati della Corte europea troviamo la normativa nazionale sulla prescrizione (artt. 157-162, titolo VI – dell’estinzione del reato e della pena), con particolare riferimento alla disciplina dell’interruzione della prescrizione che – prevedendo quale limite assoluto alla sua applicazione l'aumento di più di un quarto del tempo necessario a prescrivere – non garantisce la punibilità di tutte le complesse frodi fiscali che spesso sono perpetrate a danno degli interessi finanziari dell’Unione.

A seguito del deposito della “sentenza Taricco”, che pone rimedio al problema con la disapplicazione parziale del c.p., a detta dell’Avvocato Generale non vi sarebbero ragioni dirimenti per non ottemperare alle indicazioni già fornite dai Giudici lussemburghesi.

Tuttavia, ponendo mente ai principi fondamentali che informano il nostro ordinamento costituzionale ed avendo letto l’ordinanza 24/2017, sorge più di qualche dubbio.

Ma vediamo precisamente come l’Avvocato Generale sostiene la propria tesi e dove essa è difficilmente condivisibile, se letta alla luce dei principi costituzionali nazionali.

Nell’esordio delle proprie osservazioni, l’Avvocato sottolinea che l’inadeguatezza del sistema della prescrizione italiano a garantire la piena tutela degli interessi dell’Unione non è una questione inedita e che, anzi, le difficoltà sono note da tempo, tanto che vi sono stati studi ed apposite commissioni di lavoro, sia in ambito europeo ed internazionale, sia sul suolo italiano, per porvi rimedio. Inoltre, l’Italia è già stata condannata dalla Corte EDU proprio in tema di prescrizione (il riferimento è a Cestaro c. Italia, sentenza del 7 aprile 2015).

Il richiamo allo “stato dell’arte” sulla disciplina della prescrizione in Italia è certamente suggestivo, ma non è - appunto – questione inedita: nell’ordinanza 24/2017 la stessa Corte Costituzionale riconosce il problema, ma (correttamente) non individua alcuno strumento direttamente utilizzabile dai giudici italiani per contrastarlo.

Entrando nel vivo delle conclusioni, l’Avvocato Generale si spinge fino a definire la disciplina dell’interruzione di cui agli artt. 160-161 c.p. come “incompatibile con la nozione stessa di prescrizione” (cfr. capoverso 79, par. A), giacché un limite assoluto – un délai préfix – quale quello di aumento fino ad un quarto del tempo necessario a prescrivere, di cui all’art. 161 citato, non può essere né sospeso, né interrotto.

Insomma, alle affermazioni della Corte Costituzionale in tema di carattere sostanziale della disciplina della prescrizione e della sua ricomprensione all’interno di un principio cardine del nostro ordinamento costituzionale, qual è quello di legalità della legge penale, l’Avvocato Generale risponde con una (opinabile) argomentazione ricavata dalla teoria generale del diritto francese. La sensazione che si ha nel leggere queste considerazioni è che all’Avvocato Generale sia sfuggito il punctum pruries del caso e cioè che, semplicemente, in Italia la prescrizione è una disciplina a carattere sostanziale. Ciò, inevitabilmente, ne comporta la soggezione al principio di legalità della legge penale ed ai suoi corollari di riserva di legge, tassatività ed irretroattività.

La sensazione iniziale diviene certezza quando, riconosciuta l’indeterminatezza delle indicazioni date dalla “sentenza Taricco” sulle condizioni e le modalità di disapplicazione della disciplina dell’interruzione della prescrizione, l’Avvocato Generale propone di qualificare i reati per i quali operare la disapplicazione facendo riferimento alla proposta di Direttiva europea in tema di lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione, dimostrando, così, di non aver affatto compreso le precisazioni fornite dalla Corte Costituzionale in tema di principio di legalità.

Proseguendo nella lettura delle conclusioni, è evidente che neppure è stato colto il monito lanciato dalla Consulta in tema di separazione delle funzioni tra le istituzioni europee e quelle nazionali, laddove sono queste ultime quelle deputate nel nostro ordinamento ad adottare (con atti normativi, in virtù del principio di separazione dei poteri) norme penali che siano sufficientemente determinate ed applicabili solo a fatti commessi successivamente alla loro entrata in vigore. Sostenere, allora, che le norme sulla prescrizione abbiano carattere processuale in altri ordinamenti europei e che l’art. 7 della CEDU non le annovera tra quelle coperte dal principio di legalità è del tutto inconferente rispetto alla questione in esame, giacché nel nostro ordinamento esse sono pacificamente coperte dalla garanzia preposta dall’art. 25 Cost.

La circostanza che l’art. 25 Cost. costituisca uno dei principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale comporta che qualsiasi disposizione europea che contrasti con il suo contenuto sia disapplicata: è la cosiddetta “teoria dei controlimiti”, che la Corte Costituzionale ha evocato nell’ordinanza 24/2017 quale extrema ratio, qualora la Corte di Giustizia rimanga ferma nell’affermare la diretta applicabilità dei principi esposti nella “sentenza Taricco”. Si può ragionevolmente affermare che, se i Giudici lussemburghesi manterranno la linea offerta nelle conclusioni in analisi, lo “strappo” sarà inevitabile. Infatti, sulla “teoria dei controlimiti” e sulla qualificazione delle norme della prescrizione quali norme a cui conferire le garanzie di cui all’art. 25 Cost. in virtù della loro attinenza diretta alla punibilità della persona, l’AG afferma (arbitrariamente) che il primato del diritto dell’Unione e la sua effettività debbono – comunque – prevalere.

In questo (necessario?) soverchio l’Avvocato Generale non vede neppure una lesione dell’identità nazionale dell’Italia, vietata dall’art. 4 par. 2, TFUE ed ancora una volta paventata dalla Corte Costituzionale. L’affermazione però non può resistere alle critiche, posto che – come correttamente ricordato nell’ordinanza 24/2017 – quali siano i principi che incarnano l’identità di uno Stato è solo lo Stato medesimo a poterlo stabilire.

Considerando le conclusioni svolte nella causa C-42/17, ci si augura che la Corte di Giustizia dell’UE voglia riconsiderare l’intera questione, cogliendo i moniti della Corte Costituzionale. La necessità di una riforma della disciplina della prescrizione (ed anche, forse, quella di armonizzarla per i reati commessi ai danni dell’Unione) esiste, ma nel nostro ordinamento non può essere attuata attraverso i diktat di una sentenza, né tantomeno questi possono essere applicati retroattivamente.

In attesa di conoscere le determinazioni dei Giudici lussemburghesi, si può comunque affermare che l’eventuale trasposizione delle conclusioni dell’Avvocato Generale nella sentenza finale porterebbe inevitabilmente alla prima pronuncia di parziale incostituzionalità “mediata” di un articolo del TFUE da parte di una Corte Costituzionale di uno Stato membro.